Cos’è L’EMDR
L’EMDR (dall’inglese Eye Movement Desensitization and Reprocessing: desensibilizzazione e rielaborazione attraverso i movimenti oculari) è una tecnica protocollata evidence-based per il trattamento dei traumi psicologici e delle esperienze di vita avverse (Organizzazione Mondiale della Sanità, 2013).
Dal momento della sua scoperta nel 1987 ad oggi l’EMDR è stato oggetto di molteplici studi ed è attualmente uno degli strumenti terapeutici con il maggior numero di conferme scientifiche rispetto alla sua efficacia. Il suo utilizzo sembra facilitare l’integrazione delle memorie traumatiche in una narrazione coerente di sé e per questo motivo è oggi impiegato nel trattamento di diversi quadri clinici conseguenti a esperienze traumatiche (Fernandez et al., 2009).
Storia dell’EMDR
L’EMDR è stato scoperto in modo del tutto casuale da Francine Shapiro nel maggio del 1987. Durante una passeggiata nel parco, Shapiro si accorse che alcuni pensieri disturbanti erano spariti in modo spontaneo e improvviso. Si accorse inoltre che, quando volontariamente richiamava alla mente questi pensieri disturbanti, i suoi occhi iniziavano a muoversi in modo spontaneo e rapido, avanti e indietro, seguendo una diagonale verso l’alto. Poté ancora notare che richiamando alla mente i pensieri fastidiosi e muovendo intenzionalmente gli occhi, questi tendevano a perdere la loro caratteristica disturbante (Shapiro, 1995).
Affascinata da questa inaspettata scoperta, Shapiro iniziò a sperimentarla e in pochi mesi strutturò una procedura standard, inizialmente chiamata EMD – Eye Movement Desensitization, la cui efficacia nel diminuire la sintomatologia dei pazienti a cui era applicata veniva sempre più confermata (Shapiro, 2000). Nel 1989 il Journal of Traumatic Stress pubblicò il suo primo studio controllato (Shapiro, 1989).
Shapiro si accorse presto di quanto fosse importante l’aspetto di ristrutturazione cognitiva dei ricordi e delle convinzioni. Aggiunse così la parola “reprocessing”, modificando in EMDR – Eye Movement Desensitization and Reprocessing il nome del protocollo, e ne riformulò le basi teoriche teorizzando il Modello di Elaborazione Adattiva delle Informazioni (AIP – Adaptive Information Processing) (Shapiro, 1995).
Fondamenti teorici – Il modello AIP
Il principio su cui si basa l’EMDR postula l’esistenza di un sistema innato nell’uomo che elabora le informazioni in entrata in modo automatico affinchè vengano integrate con le esperienze e memorie pregresse, garantendo all’individuo uno stato di equilibrio. Tale risoluzione adattiva delle informazioni in entrata prevede l’attivazione di un processo di apprendimento capace di rendere tali dati utili e fruibili per la vita futura (Shapiro, 2000; Dworkin, 2010).
Nelle situazioni traumatiche l’elaborazione delle informazioni non avviene in modo adattivo. Al contrario, in questi casi l’informazione rimane bloccata in reti neurali isolate e non connesse alle reti di memoria contenenti elementi più adattivi. Tale fallimento nell’elaborazione fa sì che i ricordi negativi rimangano caldi e suscettibili di poter essere riattivati in qualsiasi momento nella loro forma originaria, così come vissuti al momento del trauma, ossia mantenendo le stesse componenti emotive, sensoriali, cognitive e fisiche disturbanti.
Ed è proprio qui sembra agire l’EMDR, andando quindi a riattivare un processo naturale dell’essere umano che eventi di vita avversi possono aver bloccato. All’interno del setting terapeutico, con un professionista esperto che tuteli il paziente e gli garantisca un sufficiente senso di sicurezza, l’EMDR permette di potersi focalizzare sul ricordo disturbante per riattivarne e completarne l’elaborazione naturale che al tempo è stata interrotta (Fernandez & Giovannozzi, 2012).
Seduta dopo seduta, le immagini, le emozioni e le cognizioni negative dei pazienti diventano più sfocate e perdono la loro carica disturbante lasciando sempre più spazio a immagini, emozioni e cognizioni positive che al contrario diventano più vivide e valide. L’aspetto disturbante del ricordo traumatico viene risolto, ottenendo così una ristrutturazione delle cognizioni ad esso associate e una visione più positiva ed adattiva (Wilson et al., 1995). Man mano che vengono elaborati i target, le informazioni disfunzionali vengono rielaborate e sostituite da informazioni adattive, integrate in modo adeguato e utilizzate come guida per comportamenti e decisioni future (Solomon & Shapiro, 2008; Shapiro, 2000).
I principi base e il protocollo a 8 fasi
L’EMDR è un protocollo strutturato in 8 fasi.
La fase 1 è dedicata alla raccolta della storia del paziente, con particolare attenzione all’infanzia e all’attaccamento; all’indagine del funzionamento attuale del paziente, incluse le relazioni significative in corso; all’esplorazione delle aree di problematicità, di sofferenza e sintomatologiche attuali. È fondamentale rintracciare nella storia di vita del paziente memorie di eventi traumatici che possono aver contribuito all’insorgenza del disturbo.
Per quanto venga a volte sottovalutato e considerato meno rilevante rispetto all’individuazione degli aspetti traumatici della vita dell’individuo, in questa fase è invece essenziale individuare le risorse del paziente, ciò in cui sente di funzionare, ciò che ama fare nel tempo libero, i suoi hobby e le passioni.
In questa fase viene concettualizzato il caso, vengono concordati gli obiettivi terapeutici e vengono identificati i target per il piano di lavoro che potranno essere ricordi o immagini oniriche; eventi reali o fantasticati; o ancora aspetti specifici dell’esperienza come sensazioni fisiche o pensieri (Shapiro, 2000).
Si procede partendo dai traumi “T” (con la t maiuscola, ossia gli eventi che portano alla morte o minacciano l’integrità fisica propria o delle persone care e che possono causare nell’individuo sentimenti di impotenza, vulnerabilità e insicurezza) laddove presenti. Si prosegue con l’elaborazione dei traumi “t” (con la t minuscola, ossia gli eventi relazionali che rappresentano una minaccia alla rappresentazione del sé) inerenti soprattutto l’attaccamento con le figure di riferimento e che rappresentano il nucleo critico di base sul quale si è strutturata la vulnerabilità dell’individuo. Si passa poi all’elaborazione dell’evento scatenante per terminare con la rielaborazione della storia del sintomo.
Tutto ciò viene condiviso e stabilito assieme al paziente, in un’ottica di costruzione dell’alleanza che deve aver luogo sin dai primi colloqui.
Nella fase 2 si procede con la preparazione del paziente alla successiva elaborazione dei target individuati. Viene spiegato il metodo e ciò che potrebbe succedere durante le fasi di elaborazione dei target. In questa fase deve essere valutata l’eventuale presenza di sintomatologia dissociativa attraverso strumenti come la scala DES.
Nella fase 3 di assessment vengono raccolte le informazioni specifiche sull’evento traumatico che verrà elaborato in quella sessione. Il terapeuta chiederà informazioni sull’immagine più disturbante, sulle parole negative che accompagnano l’immagine, sulle parole positive che il paziente vorrebbe potersi dire in merito all’evento, sulle emozioni collegate all’evento, sul livello di disturbo al momento della rievocazione del ricordo e sulla parte del corpo in cui tale disturbo viene esperito.
Nella fase 4 di desensibilizzazione hanno inizio le stimolazioni bilaterali che generalmente sono effettuate mediante movimenti oculari o utilizzo del tapping. Esistono inoltre le barre luminose o strumenti a emissione acustica alternata. Con i bambini vengono spesso impiegate delle piccole manopole che vibrano in modo alternato.
Tra un set e l’altro viene chiesto al paziente di raccontare cosa nota, cosa sente. Il cambiamento può aver luogo a livello di immagine, di pensieri, di emozioni o di sensazioni corporee.
Si procede poi con la fase 5 di installazione, la fase 6 di scansione corporea, la fase 7 di chiusura. All’inizio di ogni colloquio successivo a una seduta EMDR si procederà con la fase 8 di rivalutazione.
Meccanismo di funzionamento
In che modo agisca esattamente l’EMDR è a tutt’oggi ampiamente dibattuto e studiato.
In generale, le stimolazioni bilaterali sembrano produrre una sorta di distanziamento dalle memorie traumatiche con conseguente incremento della capacità dell’individuo di focalizzarcisi senza esserne sopraffatto (Lee & Cujpers, 2015).
Secondo alcuni autori, i movimenti oculari attiverebbero degli stati neurofisiologici deputati all’inibizione dell’ansia e della paura associate al ricordo traumatico (Armstrong & Vaughan, 1996; Barrowcliff et al., 2004). Secondo altri, ad essere attivati dai movimenti oculari sarebbero dei meccanismi simili a quelli del sonno REM (Stickgold, 2002; Elofsson, et al., 2007). Altri ancori hanno postulano la somiglianza tra gli effetti prodotti dai movimenti oculari e quelli conseguenti a suggestione ipnotica (Gilligan, 2002).
Tra le ipotesi maggiormente convincenti, troviamo quelle secondo cui i movimenti oculari aumenterebbero la cooperazione tra i due emisferi (Siegel, 2001).
Alcuni studi hanno riscontrato una riduzione dei livelli di arousal (Lamprecht et al., 2004) e delle risposte fisiologiche allo stress (Sack et al., 2007) a seguito di trattamento con EMDR. In questa stessa direzione, uno studio (Farina et al., 2014) ha osservato l’efficacia dell’EMDR nel migliorare la capacità di integrazione delle memorie traumatiche precedentemente dissociate con conseguente diminuzione dei sintomi di iper-arousal.
Sono stati inoltre osservati dei cambiamenti significativi nell’attivazione delle aree corticali a seguito dell’utilizzo dell’EMDR, con uno spostamento dell’attivazione dalle regioni limbiche a forte valenza emotiva a regioni corticali deputate a funzioni prettamente cognitive (Pagani et al., 2012).
Campi di applicazione ed evidenze di efficacia
Dal momento della sua scoperta ad oggi l’EMDR è stato oggetto di innumerevoli studi. Soprattutto nel caso del Disturbo Post-Traumatico da Stress (DPTS), la sua efficacia è stata dimostrata da molte ricerche e in contesti molto diversi tra loro, tra cui guerre, lesioni personali, incidenti, violenze sessuali, disastri naturali, lutti, azioni terroristiche (Fernandez et al., 2009).
La sua efficacia è stata inoltre riconosciuta da diversi enti e organizzazioni tra cui l’American Psychological Association (trattamento efficiente ed efficace per il DPTS in popolazioni civili, 1998-2002), il Ministero della salute (2003), l’American Psychiatric Association (insieme alla CBT, trattamento elettivo per il DPTS 2004), il French National Institute of Health and Medical Research, (insieme alla CBT, trattamento elettivo per il DPTS 2004), l’International Society for Traumatic Stress Studies (2010), l’Organizzazione Mondiale della Sanità (2013) e il Department of Veteran Affairs and Defense (2017).
L’EMDR si è man mano evoluto e la sua applicazione ha coinvolto sempre più contesti di cura, fino ad essere postulato come vero e proprio modello psicoterapico. Attualmente, secondo i terapeuti EMDR, la maggior parte dei quadri sintomatologici e delle sofferenze di vita attuali del paziente possono essere trattate con l’EMDR. Partendo da una concettualizzazione del caso molto attenta alle ferite dell’infanzia, considerate il terreno di sviluppo delle aree di vulnerabilità su cui poggia la sofferenza attuale (i traumi “t” relazionali), risulta facilmente comprensibile come l’EMDR sia ad oggi considerato una sorta di strumento passepartout per diversi disturbi emotivi e psicologici.
Articolo scritto dalla dott.ssa Alessandra L’Abbate
Psicologa, Psicoterapeuta, Esperta nel trattamento EMDR
Ordine degli Psicologi del Piemonte n° 6628
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